Pisani: « Il racket ? Un segnale positivo. I professionisti? Evadono e riciclano»


Il capo della Mobile spiega il paradosso: «Qui gli imprenditori sono puliti». Poi attacca i colletti bianchi.

NAPOLI – Vittorio Pisani, capo della squadra mobile della Questura di Napoli. Ha letto gli ultimi dati? Raccontano il boom delle estorsioni…
«Bè, significa che qui abbiamo i migliori imprenditori».

Che fa, scherza?
«No, il racket è un segnale positivo da questo punto di vista» .

Chi è lei, l’unico poliziotto d’Italia che non tuona contro il racket?
«Il racket è un fenomeno distruttivo. È il male assoluto. Non ho alcun dubbio. Però se mi chiedesse un’analisi più complessa…» .

Se gliela chiedessi?
«Le direi che più estorsioni ci sono, più l’imprenditoria è sana. Vuol dire che s’è interrotto il circuito collusivo camorra imprese. E, visto che a Napoli c’è il record di denunce, significa pure che qui ci sono gli imprenditori più puliti».
Vittorio Pisani, calabrese, 43 anni, capo della squadra mobile della questura di Napoli (quello che i suoi agenti quando arrestano i latitanti devono mostrarsi a volto scoperto, che «se hanno paura loro come si può chiedere coraggio alla gente» ), sul racket ha tre idee. Ascoltate prima volta, alcune hanno il rumore del paradosso. E allora lui, da bravo sbirro, per di più nato a Catanzaro, si mette cocciuto. Le spiega, le rispiega, le spiega ancora una volta. E cerca di far comprendere perché lui (un poliziotto) non voglia le denunce, perché anche nella lotta al pizzo c’è chi combatte di più (gli imprenditori) e chi di meno (i commercianti). E soprattutto perché, a guardarla bene, questa storia delle estorsioni può offrire anche uno spaccato positivo.

Ce lo spiega questo «paradosso del pizzo»? Cosa è: molto racket, molto onore?
«L’aumento delle richieste estorsive è negativo, però in quell’incremento io leggo il segnale della genuinità della classe imprenditoriale».

Il racket è diventato un indice di misurazione della legalità?
«Io mi preoccuperei molto di più se non ci fossero denunce» .

E perché?
«Viviamo in terre di camorra, mafia, ‘ndrangheta. L’estorsione è un reato tipico, quasi esclusivo, di queste organizzazioni. Ed è impensabile che esista un clan che non chieda tangenti. Se ciò non avviene, significa che l’imprenditore potrebbe aver scelto una strada diversa, potrebbe aver cercato un rapporto collusivo con il clan» .

Insomma, l’imprenditore o è vittima o è mafioso?
«C’è chi non denuncia l’estorsione ma cerca soluzioni diverse interloquendo direttamente con l’organizzazione criminale. E questo è il primo passaggio per creare cointeressenze economiche».

Meglio le estorsioni, allora?
«Ovviamente no. Però attenti, perché se ci sono aree totalmente immuni da richieste estorsive, vuol dire che lì la criminalità organizzata ha già assunto il controllo totale di tutte le attività economiche» .

Ci consoliamo dicendo che qui di denunce ce ne sono eccome?
«La Campania e Napoli in particolare hanno il più alto numero di denunce. Significa che l’imprenditoria è molto più sana di altre regioni» .

Quali?
«Penso alla Calabria, dove le denunce sono quasi assenti. Qualcuno pensa forse che lì non chiedano il pizzo?» .

Come va in Sicilia?
«La classe imprenditoriale si sta svegliando. La Puglia invece è colpita meno dal fenomeno».

Proviamo a guardare anche gli altri segnali. Perché si registra questo boom di denunce?
«Innanzitutto grazie al lavoro delle associazioni antiracket. Hanno creato la cultura della denuncia, della vicinanza alla vittima. E hanno aiutato anche noi» .

Dice che oggi è più facile arrestare perché gli imprenditori accusano di più?
«Guardi, paradossalmente noi siamo contrari alla denuncia» .

Sta buttando via dieci anni di campagne di sensibilizzazione?
«No, ma qui bisogna essere chiari. Noi non vogliamo che l’indagine su un’estorsione sia basata solo sulla denuncia dell’imprenditore. E non lo vogliamo per due motivi precisi» .

Il primo?
«Quell’imprenditore sarebbe l’unica fonte di accusa al processo, e fino al dibattimento potrebbe anche decidere di non collaborare più» .

Il secondo?
«È collegato al primo. Se è lui l’unico teste d’accusa, è sovraesposto al rischio di ritorsioni. Potrebbe tacere per paura. O peggio» .

Scusi, ma allora come li arrestate gli estorsori?
«Preferiamo sostituirci all’imprenditore. Noi vogliamo solo una segnalazione, poi io mando un agente sotto copertura che si finge capocantiere, direttore dei lavori. È lui che riceve la richiesta estorsiva. E che arresta in flagrante l’emissario del clan» .

Funziona questa strategia?
«Sì, perché in questo modo l’imprenditore esce dal processo penale, non corre più rischi. Si basa tutto sulla testimonianza del poliziotto infiltrato, che non è ricattabile e non ha paura. Così, nel novantanove per cento dei casi, gli arrestati non vanno neppure al processo: chiedono solo il rito abbreviato per ottenere uno sconto di pena» .

Lei parla sempre di imprenditori. E i commercianti?
«Diciamo che a fronte di un’attività volenterosa delle associazioni degli industriali e dei costruttori, ancora oggi riscontro un’assenza totale delle associazioni di categoria nel settore del commercio. Da quando sono dirigente della squadra mobile non ho mai avuto il piacere di ricevere nel mio ufficio un esponente di Confcommercio o Confesercenti che accompagnasse una persona a denunciare» .

Una spiegazione se l’è data?
«Non ne ho idea» .

Ecco, a proposito di commercio e di infiltrazioni. C’è la camorra dietro il proliferare delle attività commerciali?
«Non sempre. Gli esercizi utilizzati dai clan ci saranno pure, per carità. Ma oggi non dobbiamo più guardare al riciclaggio come attività esclusiva della criminalità organizzata» .

A chi dobbiamo guardare allora? Chi è che ricicla?
«I professionisti. Napoli è una città piena di professionisti, una grande catena che intasca soldi al nero e non sa più dove occultare i soldi sporchi. Le maglie dei controlli bancari si sono strette, l’Agenzia delle entrate fa studi di settore. Riciclare i proventi dell’evasione fiscale in attività commerciali, anche se hanno costi ingenti rispetto alla potenziale produttività, serve a questi professionisti per dare un aspetto di legittimità a quei soldi» .

Hanno un volto questi professionisti? Chi sono?
«Medici, avvocati, notai, commercialisti, imprenditori. Chiunque svolga una libera attività. Sono loro quelli che aprono un’attività commerciale dietro l’altra per ripulire i soldi» .

Sa anche in cosa investono?
«Prediligono tutto ciò che riguarda il tempo libero. Bar, ristoranti, negozi di abbigliamento. No, dico, ma avete visto quanti nuovi locali notturni, bar e ristoranti sono stati aperti in città? Questa è la cosiddetta gente perbene. La stessa che compra Hogan false e borse contraffatte ai mercatini» .

Che c’entrano adesso le scarpe?
«C’entrano, eccome. Oggi il falso è il business fondamentale delle mafie, che approfittano anche della crisi economica. E la gente che fa? Acquista da loro prodotti contraffatti in vendita sulle bancarelle».

Vuole mica arrestarli?
«No. Però è necessario prevedere una norma che punisca questo comportamento e che sia un efficace deterrente. L’offerta dei clan ci sarà finché esisterà la domanda. E per far cessare la domanda non c’è che una soluzione. Mettere paura a cittadini così».

Gianluca Abate
29 marzo 2011

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2011/29-marzo-2011/pisani-racket-segnale-positivola-mancanza-pizzo-cela-accordi-collusivi-190329797892.shtml

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